Crampi in gravidanza: quando preoccuparsi e come alleviarli

I crampi al ventre in gravidanza sono un fenomeno comune ma che può suscitare preoccupazione. Comprendere le cause di questi crampi, distinguere quelli fisiologici da quelli che richiedono attenzione medica e conoscere strategie efficaci per il sollievo può aiutare a vivere la gravidanza con maggiore serenità.

Perché si verificano i crampi in gravidanza?

I crampi addominali in gravidanza possono essere causati da diversi fattori, spesso legati ai cambiamenti fisiologici che il corpo affronta per sostenere la gestazione.

Cambiamenti Ormonali

Durante la gravidanza, l’aumento del progesterone rilassa i muscoli lisci, inclusi quelli dell’apparato gastrointestinale, rallentando la digestione. Questo può causare gonfiore, accumulo di gas e crampi addominali. L’ormone relaxina contribuisce a rendere i legamenti più elastici per preparare il corpo al parto. Questo può causare dolore o crampi dovuti allo stiramento dei legamenti.

Crescita dell’Utero

Con l’avanzare della gravidanza, l’utero si espande per accogliere il feto in crescita. Questo processo può causare tensione nei muscoli e nei legamenti circostanti, provocando crampi o dolori noti come “dolore del legamento rotondo”. La pressione esercitata dall’utero in crescita su altri organi, come la vescica o l’intestino, può contribuire al disagio.

Impianto dell’Embrione

Nei primi giorni di gravidanza (10-14 giorni dopo il concepimento), l’impianto dell’embrione nell’endometrio può causare lievi crampi simili a quelli mestruali. Questo fenomeno è spesso accompagnato da spotting leggero.

Disturbi Gastrointestinali

La stitichezza è molto comune in gravidanza a causa del rallentamento della motilità intestinale indotto dagli ormoni e dalla compressione dell’intestino da parte dell’utero. Questo può portare a crampi addominali.

Contrazioni di Braxton Hicks

Nel secondo e terzo trimestre, queste contrazioni uterine irregolari e indolori possono essere percepite come una sensazione di tensione o crampi addominali. Sono considerate una preparazione al travaglio e non rappresentano un rischio.

Quando i crampi al ventre in gravidanza sono normali?

Nella maggior parte dei casi, i crampi lievi e transitori non sono motivo di preoccupazione. I crampi al ventre in gravidanza sono considerati normali se presentano le seguenti caratteristiche:

  1. Intensità lieve o moderata: i crampi non sono troppo intensi e non aumentano nel tempo.
  2. Occasionali e transitori: si verificano sporadicamente e non sono persistenti.
  3. Scompaiono con il riposo o il cambio di posizione: migliorano o scompaiono dopo aver riposato o cambiato posizione.
  4. Associati a processi fisiologici: sono legati a normali processi come la digestione o l’espansione dell’utero.

Quando preoccuparsi: segnali d’allarme

Tuttavia, alcuni tipi di crampi addominali in gravidanza possono essere indice di complicazioni che richiedono un consulto medico urgente. Tra i sintomi da non sottovalutare troviamo:

  • Crampi intensi e persistenti: dolore addominale severo che non si attenua con il riposo.
  • Sanguinamento o perdite ematiche: potrebbero indicare un rischio di aborto spontaneo nelle prime fasi della gravidanza o problemi alla placenta nei trimestri successivi.
  • Dolore accompagnato da febbre, nausea o vomito: potrebbero essere segnali di infezioni, appendicite o altre condizioni mediche.
  • Dolore localizzato su un solo lato dell’addome: specialmente nelle prime settimane, potrebbe essere indice di una gravidanza extrauterina.
  • Contrazioni regolari e dolorose prima della 37ª settimana: potrebbero indicare un travaglio pretermine.
  • Dolore lombare intenso e pressione pelvica: potrebbe suggerire un problema alla cervice o un’infiammazione.

In presenza di uno o più di questi sintomi, è importante contattare immediatamente il proprio ginecologo o recarsi in pronto soccorso.

Come alleviare i crampi addominali in gravidanza

Se i crampi sono di natura fisiologica, ci sono diverse strategie per alleviarli e ridurre il disagio:

  • Riposo e cambi di posizione: sdraiarsi sul lato sinistro può migliorare il flusso sanguigno all’utero e ridurre i crampi.
  • Idratazione adeguata: bere molta acqua aiuta a prevenire crampi muscolari e a migliorare la digestione.
  • Alimentazione equilibrata: consumare fibre e alimenti facilmente digeribili riduce la stitichezza e il gonfiore addominale.
  • Attività fisica moderata: camminare o praticare yoga prenatale può migliorare la circolazione e prevenire il disagio addominale.
  • Impacchi caldi: una borsa dell’acqua calda posizionata sul ventre (a temperatura moderata) può rilassare i muscoli addominali.
  • Bagni caldi: immergersi in acqua tiepida può favorire il rilassamento e ridurre i crampi.
  • Esercizi di respirazione e rilassamento: tecniche come la respirazione profonda possono ridurre la tensione muscolare e migliorare il comfort.

I crampi al ventre in gravidanza sono un fenomeno comune e, nella maggior parte dei casi, non indicano problemi gravi. Tuttavia, è essenziale saper distinguere tra crampi fisiologici e segnali d’allarme che richiedono una valutazione medica.

Se hai dubbi sui tuoi sintomi o vuoi una consulenza più approfondita, i nostri specialisti in Medicina della Riproduzione nei centri Genera PMA sono a tua disposizione per offrirti il supporto e l’assistenza di cui hai bisogno.

Calcolo dei giorni fertili: guida completa per massimizzare le possibilità di concepimento

Comprendere il proprio ciclo mestruale è fondamentale per individuare i giorni più fertili e massimizzare le probabilità di concepimento. Sapere quando avviene l’ovulazione aiuta a concentrare i rapporti nel periodo più favorevole per ottenere una gravidanza. In questa guida scoprirai come calcolare i giorni fertili, quali sono i segnali dell’ovulazione e quali strategie possono aiutarti ad aumentare le chance di concepire naturalmente.
Comprendere il proprio ciclo mestruale è fondamentale per individuare i giorni più fertili e massimizzare le probabilità di concepimento. Sapere quando avviene l’ovulazione aiuta a concentrare i rapporti nel periodo più favorevole per ottenere una gravidanza. In questa guida scoprirai come calcolare i giorni fertili, quali sono i segnali dell’ovulazione e quali strategie possono aiutarti ad aumentare le chance di concepire naturalmente.

Ciclo mestruale: cos’è e come influenza la fertilità?

Il ciclo mestruale è un processo fisiologico che dura in media 28 giorni, ma può variare tra 25 e i 38 giorni. Si divide in tre fasi principali:
1. Fase follicolare: inizia con il primo giorno del flusso mestruale e dura fino all’ovulazione. Le mestruazioni si verificano in seguito alla diminuzione dei livelli di estrogeni e progesterone, che causa lo sfaldamento del rivestimento uterino (endometrio). Durante la fase follicolare, un follicolo ovarico cresce progressivamente fino alla maturazione finale.
2. Fase ovulatoria: si verifica quando il follicolo dominante maturo si rompe e rilascia l’ovocita. Questo fenomeno avviene generalmente a metà del ciclo, circa 14 giorni prima dell’arrivo della mestruazione successiva. L’ovocita viene rilasciato dall’ovaio e inizia il suo percorso verso l’utero attraverso una delle tube di Falloppio.
3. Fase luteale: inizia dopo l’ovulazione e dura fino all’arrivo delle mestruazioni successive. Il follicolo ovarico, dopo aver rilasciato l’ovocita, si trasforma in corpo luteo, che produce progesterone per preparare l’endometrio all’impianto di un embrione. Se l’ovocita viene fecondato e si impianta nell’utero inizia la gravidanza, mentre se la fecondazione non avviene il corpo luteo si dissolve, i livelli ormonali diminuiscono e inizia un nuovo ciclo con la comparsa del flusso mestruale.

Quali sono i giorni migliori per concepire?

La “finestra fertile” si riferisce al periodo del ciclo mestruale in cui la probabilità di concepimento spontaneo è massima ed è determinata dalla durata della vita degli spermatozoi e dell’ovocita.
Gli spermatozoi possono sopravvivere fino a 5 giorni nel tratto riproduttivo femminile in condizioni ottimali mentre l’ovocita, una volta rilasciato dall’ovaio, rimane vitale e fecondabile per circa 12-24 ore. In questo senso, i giorni più fertili sono quelli più vicini all’ovulazione e la finestra fertile si estende per circa 5 giorni prima dell’ovulazione e fino a un massimo di 24 ore dopo.
La fertilità femminile è tuttavia influenzata soprattutto dall’età della donna: a partire dai 35 anni, la fertilità inizia infatti marcatamente a diminuire. Ciò è dovuto al graduale declino della quantità e qualità delle cellule uovo (ovociti): con l’avanzare dell’età il numero di ovociti nelle ovaie (la riserva ovarica) diminuisce, ma soprattutto peggiora progressivamente la loro qualità. Gli ovociti rimanenti presentano una maggiore probabilità di generare embrioni con anomalie del numero dei cromosomi, aumentando il rischio di aborti spontanei e di anomalie cromosomiche nel bambino.

Perché questi giorni sono i migliori?

L’ovocita ha una vita di breve durata, mentre gli spermatozoi hanno bisogno di tempo per raggiungere le tube di Falloppio e devono rimanere vitali fino al suo rilascio. Concentrare i rapporti sessuali qualche giorno prima dell’ovulazione assicura che al momento del rilascio dell’ovocita siano già presenti spermatozoi pronti per la fecondazione nelle tube di Falloppio. Il picco massimo di fecondabilità si ha quando il rapporto sessuale avviene entro i 2 giorni precedenti l’ovulazione.

Come calcolare i giorni fertili

Metodo Ogino-Knaus

Questo metodo consiste nell’annotazione sul calendario della durata del ciclo mestruale per almeno sei mesi consecutivi. Si calcola la durata media considerando per ogni mese i giorni compresi tra l’inizio di una mestruazione e l’inizio della successiva. In generale, per tutte le donne la durata della fase luteale (successiva all’ovulazione) si considera approssimativamente di 14 giorni. Si presume quindi che l’ovulazione si verifichi intorno al 14° giorno del ciclo se la sua durata media è di 28 giorni, mentre si stima avvenga al 16° giorno per le donne che hanno cicli di 30 giorni, e così via. Questo è tuttavia il metodo meno affidabile a causa delle variazioni fisiologiche di durata del ciclo mestruale.

Metodo Billings

Si basa sull’osservazione delle secrezioni vaginali. Nei giorni successivi alle mestruazioni, il muco cervicale è scarso o assente mentre man mano che ci si avvicina all’ovulazione, il muco aumenta di quantità e diventa più trasparente e filante, simile all’albume d’uovo. Il muco fertile indica che l’ovulazione è imminente. È più affidabile del metodo Ogino-Knaus, ma richiede una certa pratica per interpretare correttamente le variazioni del muco cervicale.

Temperatura basale

Questo metodo prevede la misurazione della temperatura corporea ogni mattina, appena svegli, prima di alzarsi dal letto. Durante la prima metà del ciclo, la temperatura basale è relativamente stabile. Dopo l’ovulazione, si verifica un aumento di temperatura di circa 0,2-0,5 gradi Celsius, dovuto all’aumento del progesterone. È un metodo che richiede costanza e può essere influenzato da diversi fattori come malattie, stress o variazioni del sonno.

Test fai da te

I test di ovulazione rilevano la presenza dell’ormone luteinizzante (LH) nelle urine. L’LH aumenta bruscamente 24-36 ore prima dell’ovulazione perciò se effettuato giornalmente, seguendo le istruzioni del produttore, permette di individuare il picco di LH e prevedere l’ovulazione.
Se il ciclo è irregolare, il monitoraggio della temperatura basale e il Metodo Billings sono i più utili perché aiutano a identificare i segnali del corpo relativi all’ovulazione.
In generale, tutti questi metodi possono però aumentare lo stress percepito dalla coppia durante i tentativi di concepimento spontaneo e dovrebbero quindi essere utilizzati solo come guida per incrementare la frequenza dei rapporti (ogni 1-2 giorni) durante la finestra più fertile.

Infertilità: quando preoccuparsi?

L’infertilità è definita come l’incapacità di concepire dopo 12 mesi di rapporti sessuali regolari, non protetti e mirati al periodo fertile. Per le donne di età pari o superiore a 35 anni, questo periodo si riduce a 6 mesi. È consigliabile consultare un medico specialista in fertilità nelle seguenti situazioni:

  • Se la coppia non riesce a concepire dopo un anno di rapporti sessuali regolari e non protetti.
  • Le donne di età pari o superiore a 35 anni dovrebbero consultare un medico dopo 6 mesi di tentativi infruttuosi, a causa del declino naturale della fertilità con l’età.
  • In presenza di fattori di rischio noti e condizioni mediche che possono aumentare le probabilità di infertilità, come:
    – Cicli mestruali irregolari o assenti
    – Storia di malattie infiammatorie pelviche
    Endometriosi
    – Precedenti interventi chirurgici pelvici
    – Trattamenti per il cancro (chemioterapia o radioterapia)
    – Problemi di fertilità noti nel partner maschile
  • Aborti spontanei ricorrenti

La fecondazione assistita come soluzione

La fecondazione assistita (PMA) rappresenta una soluzione concreta e sempre più accessibile per molte coppie che affrontano problemi di infertilità. Attraverso una serie di tecniche mediche, come l’inseminazione intrauterina o la FIVET-ICSI, la PMA interviene nel processo riproduttivo per aumentare le probabilità di concepimento.
Secondo i dati più recenti pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) nel 2024, relativi all’anno 2022, in Italia:

  • Sono stati eseguiti 109.755 cicli di PMA.
  • Grazie alle tecniche di PMA sono nati 16.718 bambini, pari al 4,3% dei nati.
  • La percentuale di parti multipli, uno dei maggiori rischi della PMA, è scesa dal 23,2% del 2005 al 5,9% del 2022.

Tuttavia, è importante considerare che il successo della PMA dipende da diversi fattori e che è fondamentale rivolgersi a un centro specializzato in Medicina della Riproduzione come Genera per una valutazione accurata e un trattamento personalizzato.

Congresso EFA 2025, Salisburgo – 12 aprile 2025

Il 12 aprile si è svolto a Salisburgo la 39esima Conferenza EFA.

Durante la relazione dal titolo Embryo multinucleation: detection, possible origins, and implications for treatment, tenuto dalla Dottoressa Federica Innocenti, Scientific and Research Coordinator,  è stata affrontata la tematica della multinucleazione, un’anomalia osservata nelle prime fasi dello sviluppo preimpianto degli embrioni, le cui cause e implicazioni cliniche restano ancora in parte da chiarire.

La multinucleazione è definita come la presenza di più nuclei all’interno di un singolo blastomero. Sebbene la presenza di blastomeri multinucleati sia generalmente associata a una ridotta qualità embrionale, numerose evidenze indicano che alcuni di questi embrioni, se in grado di raggiungere lo stadio di blastocisti, possono comunque portare a gravidanze evolutive. Ulteriori studi, supportati da tecnologie avanzate come il time-lapse imaging in associazione alla PGT-A, sono necessari per comprendere meglio i meccanismi alla base della multinucleazione e il suo reale impatto sulla competenza riproduttiva embrionale.

Policistosi ovarica vs. Sindrome dell’ovaio policistico: differenze e similitudini

L’ovaio policistico (PCO) e la sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) sono due condizioni che spesso vengono confuse a causa della somiglianza nei termini, ma in realtà presentano differenze significative in termini di diagnosi, sintomi e impatto sulla salute riproduttiva.

Cos’è la policistosi ovarica?

La policistosi ovarica (PCO) è una condizione ecografica caratterizzata dalla presenza di numerosi follicoli di piccole dimensioni nelle ovaie, che possono apparire ingrossate. Questa condizione è piuttosto comune e si riscontra in almeno il 25% delle donne in età fertile.

La policistosi ovarica, o ovaio policistico, è una condizione ecografica piuttosto comune nelle donne, presente in almeno una su quattro. Si caratterizza per la presenza di numerose cisti ovariche, spesso follicoli inattivi, che possono essere visibili durante un esame ecografico e le ovaie appaiono ingrossate e possono contenere più di 20 micro-follicoli (<10 mm). La PCO può essere asintomatica o associata a cicli mestruali irregolari, ma non implica necessariamente una patologia grave.

In molti casi, le donne con ovaio policistico non presentano sintomi significativi e possono avere una normale funzione ovarica. Tuttavia, in alcuni casi, può essere associata a disturbi ormonali o del ciclo mestruale, ma ciò non è sempre presente

La PCO non è una malattia e non necessita di trattamento specifico se non in presenza di sintomi come irregolarità mestruali o disfunzioni ovulatorie.

Cos’è la Sindrome dell’Ovaio Policistico (PCOS)?

La Sindrome dell’Ovaio Policistico (PCOS) è un disordine endocrino e metabolico che colpisce tra il 5% e il 10% delle donne in età fertile.

È caratterizzata da disfunzioni ormonali, ovulatorie e metaboliche e le donne che ne soffrono riscontrano sintomi che includono irregolarità mestruali, iperandrogenismo (acne, irsutismo), obesità, resistenza all’insulina e problemi di fertilità. Richiede un approccio terapeutico mirato ai sintomi specifici, come il controllo dell’iperandrogenismo e la regolazione del ciclo mestruale, spesso combinando modifiche dello stile di vita con trattamenti medici.

Come distinguerle?

La diagnosi differenziale tra PCO e PCOS si basa su:

  • Ecografia transvaginale: utile per identificare la morfologia delle ovaie.
  • Dosaggi ormonali: valutazione di LH, FSH, androgeni (testosterone, DHEA-S).
  • Curva glicemica e insulinemica: per verificare la presenza di resistenza insulinica.

Impatto sulla Fertilità

La policistosi ovarica di per sé non è una causa diretta di infertilità. La maggior parte delle donne con PCO mantiene un’ovulazione regolare e non ha difficoltà a concepire. Tuttavia, in alcuni casi, può essere associata a irregolarità ovulatorie che possono influenzare la fertilità.

La PCOS, invece, è una delle principali cause di infertilità femminile a causa delle disfunzioni ovulatorie. Le principali problematiche che influenzano la fertilità nelle donne con PCOS sono:

  • Anovulazione cronica: molte donne con PCOS ovulano meno frequentemente o non ovulano affatto, rendendo il concepimento più difficile.
  • Squilibri ormonali: livelli elevati di androgeni possono interferire con lo sviluppo follicolare e la qualità degli ovociti.
  • Resistenza all’insulina: spesso associata alla PCOS, può avere un impatto negativo sulla funzione ovarica e sulla qualità ovocitaria.

Tuttavia, molte donne con PCOS riescono a concepire con trattamenti specifici, tra cui:

  • Modifiche dello stile di vita (dieta equilibrata ed esercizio fisico).
  • Farmaci per indurre l’ovulazione (come il clomifene citrato o letrozolo).
  • Tecniche di procreazione medicalmente assistita nei casi più complessi.

In sintesi, mentre la policistosi ovarica è una condizione benigna che non comporta necessariamente problemi di fertilità, la sindrome dell’ovaio policistico è un disturbo complesso che richiede una gestione medica personalizzata. Distinguere tra le due condizioni è essenziale per un approccio terapeutico adeguato e per garantire il benessere riproduttivo e generale delle donne che ne sono affette.

Se sospetti di avere una di queste condizioni, è importante consultare uno specialista in Medicina della Riproduzione per una valutazione approfondita e un eventuale trattamento mirato.