La denatalità in Italia: il ruolo della PMA

La denatalità fa segnare record negativi di anno in anno: all’inizio di aprile l’Istat ha ribadito che nel 2022 i nuovi nati sono scesi, per la prima volta dall’unità d’Italia, sotto la soglia delle 400mila unità, attestandosi a 393mila. Dal 2008, ultimo anno in cui si registrò un aumento delle nascite, il calo è di circa 184mila nati, di cui circa 27mila concentrate dal 2019 in avanti.

In questo quadro, l’infertilità ha un ruolo importante e viene oggi riconosciuta dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) come una vera e propria malattia. È definita come l’assenza di concepimento dopo 12 mesi di regolari rapporti sessuali mirati non protetti. Questo problema riguarda circa una persona su 6 in tutto il mondo, ha ribadito l’OMS in un recente report.

“La grande incertezza sociale legata a questo delicato periodo storico – sottolinea Filippo Maria Ubaldi, direttore scientifico gruppo Genera – è uno dei motivi per cui in Italia le coppie cercano una gravidanza sempre più tardi, loro malgrado: dal 2010 a oggi, l’età media al parto delle donne italiane è salita da 31 a oltre 33 anni, ed è stato costante anche l’aumento dell’età della donna all’inizio della ricerca di un figlio. Ma le coppie vanno comprese: non c’è certezza economica, lavorativa, per moltissime di loro. E provano ad avere un figlio quando è per loro il momento giusto, ma biologicamente a volte tardivo. La medicina della riproduzione, anche se non sempre è la soluzione, potrebbe aiutare a invertire questa rotta, se questo ruolo le venisse riconosciuto maggiormente e le coppie aiutate maggiormente nel loro percorso di cura dell’infertilità”.

Quasi 100.000 coppie italiane si rivolgono alla Procreazione medicalmente assistita (Pma) e oltre 14.000 bambini nascono ogni anno in Italia, pari a più del 3% del totale dei piccoli che vengono al mondo nel nostro Paese. “Le strategie disponibili in un centro di Procreazione medicalmente assistita – evidenzia Ubaldi – sono 3 a seconda dell’età della paziente: prevenire (con la preservazione della fertilità e quindi la crioconservazione degli ovociti), compensare (attraverso una stimolazione ovocitaria personalizzata che possa massimizzare la produzione di ovociti) e risolvere (con l’ovodonazione), avendo come primo obiettivo sempre quello di ridurre i rischi. Questo è possibile proponendo l’impiego del test genetico pre-impianto, finalizzato a individuare gli embrioni competenti, in grado cioè di dar luogo a una gravidanza, evitando di trasferire quelli anomali, e il trasferimento di un singolo embrione per evitare gravidanze gemellari, che sono sempre rischiose per la mamma e i nascituri”.